Ormai da quasi vent’anni mi occupo di adozione, un tema con mille sfaccettature e un ambito di specializzazione parecchio sfidante, perchè in continua evoluzione. L’adozione poi è stato uno dei due modi con cui sono diventata madre e questo mi ha permesso di fare esperienza “da dentro” di tutti quei pensieri e vissuti che ho studiato e con cui entro in contatto quando lavoro con le famiglie adottive e con le persone che hanno background adottivo.

La mia esperienza mi porta a credere che sia tanto importante avere una formazione specifica per poter lavorare clinicamente con persone che hanno una storia di adozione, per offrire una mente competente, che tenga conto di tutti gli aspetti specifici in un equilibrio ben bilanciato: né troppo “patologizzante” né troppo “svalutante” dell’impatto che l’adozione può aver avuto sulla loro mente e sulla loro esistenza.

Nell’approccio clinico all’adozione sono coinvolti anche aspetti antropologici e socio-culturali che a volte potrebbe essere difficile intercettare. Noi umani siamo immersi nella nostra cultura, compresi stereotipi e pregiudizi, e proprio per questo fatichiamo a riconoscerla: e per de-costruire gli stereotipi culturali il primo passo fondamentale è “vederla”. Come per i pesci raccontati da David Foster Wallace il passaggio necessario è poter dire “Questa è l’acqua!”.

Dal riflettere al progettare al mettere in campo un’attività: ecco, in autunno mi piacerebbe creare uno spazio di condivisione, formazione e supervisione per colleghe e colleghi che volessero saperne di più. Aggiornerò il blog e il sito

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